LA SORTE DEL SURPLUS FINANZIARIO IN AMBITO CONCORDATARIO

a cura dell’avv. Paolo Cagliari

Il contributo analizza la pronuncia con cui la Corte di cassazione ha dettato i principi da osservare per la destinazione del surplus finanziario generatosi nell’ambito di una procedura concordataria.

  1. La questione esaminata dalla Corte di cassazione

La pronuncia di Cass. civ., Sez. I, 6 agosto 2024, n. 22169, ha affermato che, in caso di concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis l.fall., l’eventuale surplus finanziario determinato dalla prosecuzione dell’attività d’impresa è da intendersi quale mero incremento di valore dei fattori produttivi aziendali, rientrando nell’oggetto della garanzia generica del credito prevista dall’art. 2740 c.c., sicché non è liberamente distribuibile dal debitore, ma soggiace al divieto di alterazione delle cause legittime di prelazione.

  1. Concordato preventivo in continuità e surplus finanziario

Nell’ambito di un concordato preventivo con continuità aziendale, per surplus finanziario deve intendersi l’incremento del valore dell’azienda realizzato tramite la continuità aziendale programmata e, più precisamente, quella parte delle risorse derivanti dall’utile generato dalla continuazione dell’attività d’impresa che eccede la somma destinata al pagamento dei creditori secondo il piano concordatario di cui all’art. 186-bis l.fall.

Secondo i giudici di legittimità, tale surplus non è liberamente destinabile dal debitore senza vincoli di distribuzione, ma deve rispettare l’ordine delle cause legittime di prelazione ai sensi dell’art. 2741 c.c.

L’art. 160, comma 2, l.fall., infatti, consentendo, da un lato, il pagamento non integrale dei creditori privilegiati, a condizione che il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione dei beni oggetto della garanzia, vieta, dall’altro lato, che il trattamento stabilito per ciascuna classe possa avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione; se le risorse provenienti dalla continuazione dell’attività d’impresa – che, nell’ottica del piano concordatario, costituisce strumento funzionale al migliore soddisfacimento dei creditori – fossero liberamente distribuibili, potrebbe determinarsi l’alterazione vietata dalla norma, perché il surplus derivante da detta continuazione costituisce un bene futuro funzionalmente riconducibile ai fattori produttivi aziendali e, come tale, rientrante a pieno titolo nella più generale garanzia patrimoniale delineata dall’art. 2740 c.c., sicché deve reputarsi anch’esso assoggettato al rispetto del divieto di alterazione delle cause legittime di prelazione, posto che l’omologazione del concordato non instaura alcuna separazione patrimoniale rispetto ai beni e agli incrementi generati dalla continuità aziendale.

È, quindi, la stessa garanzia patrimoniale – che non limita la responsabilità del debitore ai beni che gli erano propri al momento dell’insorgenza del credito, ma la estende espressamente pure a quelli futuri – a costituire il fondamento giuridico legittimante la responsabilità del debitore in concordato con continuità nei confronti dei propri creditori anche con riguardo ai beni generati dalla prosecuzione dell’attività aziendale secondo le scansioni temporali previste nel piano e nel rispetto (come nel concordato liquidatorio) delle cause legittime di prelazione legislativamente previste.

Pertanto, in presenza di creditori muniti di privilegio generale rispetto ai quali il piano non abbia previsto l’integrale soddisfazione, l’eventuale utilità prodotta dalla continuità aziendale, prima di poter essere destinata ai creditori chirografari, dev’essere attribuita a loro.

In realtà, la scelta del debitore di destinare soltanto una parte del proprio patrimonio attuale e futuro al rispetto dell’ordine delle cause di prelazione non sarebbe di per sé inammissibile, ma richiederebbe il consenso individuale dei singoli creditori, non potendosi ammettere che una decisione maggioritaria disponga di una norma imperativa, qual è l’art. 2740 c.c., sacrificando il diritto individuale del singolo creditore senza il suo consenso.

Ne consegue che una deroga ai principi dettati dall’art. 160, comma 2, l.fall. assunta a maggioranza sarebbe ammissibile unicamente se fosse la legge a prevederlo.

La regola enunciata dalla Corte di cassazione deve considerarsi profondamente innovata a seguito dell’entrata in vigore del CCII, dal momento che l’art. 84, comma 6, non disponendo una semplice revisione della disciplina contenuta negli artt. 160 e 161 l.fall., ma innestando un nuovo precetto all’interno dell’ordinamento, stabilisce che, nel concordato in continuità aziendale, il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione, mentre, per il valore eccedente quello di liquidazione, è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore.

  1. Concordato preventivo e finanza esterna

Per quanto riguarda, invece, gli apporti del terzo, essi si sottraggono al divieto di alterazione della graduazione dei crediti privilegiati se risultano neutrali rispetto allo stato patrimoniale della società debitrice, non comportando né un incremento del suo attivo patrimoniale (sul quale i crediti privilegiati dovrebbero in ogni caso essere collocati secondo il loro grado), né un aggravio del passivo, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo, indipendentemente dalla circostanza che tale credito sia stato postergato o no.

Sul punto, i giudici di legittimità hanno precisato che il surplus finanziario, determinato dalla continuità aziendale ex art. 186-bis l.fall., non può essere ricondotto nella categoria concettuale della finanza esterna apportata dal terzo finanziatore del piano concordatario, posto che, nell’un caso, il flusso finanziario eccedentario – rispetto al programmato pagamento dei creditori previsto nel piano stesso – risulta pur sempre collegato (e, dunque, funzionalmente riconducibile) ai fattori produttivi aziendali, ossia, in ultima istanza, al patrimonio del debitore (cioè alla garanzia patrimoniale insita nello stesso, ai sensi degli artt. 2740 e 2741 c.c.), mentre, nell’altro caso, la finanza esterna rappresenta un apporto finanziario di un soggetto terzo rispetto al patrimonio del debitore, che, se assistito dal requisito della neutralità, sfugge alle stringenti regole della responsabilità patrimoniale e risulta, quindi, liberamente distribuibile dal debitore.

I flussi finanziari generati dalla continuità aziendale (secondo il programma di esdebitamento previsto nel piano concordatario), in definitiva, non sono assimilabili a nuova finanza, giacché la loro fonte non è un terzo, bensì lo stesso patrimonio del debitore, sicché non possono sottrarsi alla regola del rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione.

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