I CREDITI PRIVILEGIATI DELLE ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI

a cura dell’avv. Paolo Cagliari

Il contributo esamina i requisiti necessari affinché possa riconoscersi natura privilegiata ai crediti fatti valere dalle associazioni professionali.

  1. Crediti professionali e privilegio

I privilegi costituiscono, come le altre cause legittime di prelazione, una deroga al principio della par condicio creditorum sancito dall’art. 2741, comma 1, c.c., sicché le norme che li prevedono hanno carattere eccezionale.

A differenza di pegno e ipoteca, i privilegi non dipendono da un peculiare vincolo su un bene del debitore, essendo attribuiti dalla legge a determinati crediti in ragione della relativa causa: la ratio dell’art. 2751-bis c.c., che riconosce natura privilegiata, tra gli altri, ai crediti per retribuzioni dovute a lavoratori e professionisti, risiede nel riconoscimento di una collocazione preferenziale ai crediti derivanti dalla prestazione di attività lavorativa svolta in via subordinata o autonoma, in quanto destinati a soddisfare esigenze di sostentamento del prestatore.

  1. L’attività professionale svolta in forma associata

Lo studio professionale associato, sebbene privo di personalità giuridica, rappresenta un fenomeno di aggregazione d’interessi cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici.

L’art. 36 c.c. stabilisce che l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, lo svolgimento dei quali viene delegato ai singoli aderenti e dagli stessi personalmente curato.

In ossequio al principio di personalità della prestazione, che connota i rapporti disciplinati dagli artt. 2229 e seguenti c.c., infatti, la prestazione deve sempre essere resa personalmente dal singolo associato munito dei requisiti che la legge prescrive; ciò non esclude che allo studio associato venga attribuita la titolarità dei diritti di credito a titolo di compenso derivanti dallo svolgimento dell’attività professionale degli associati, non rientrando tra quelli per i quali sussiste un divieto assoluto di cessione.

Se, dunque, lo studio associato ha la capacità di porsi come autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici e di essere titolare del diritto al pagamento del compenso inerente agli incarichi professionali svolti dagli associati, la legittimazione a farlo valere in giudizio comporta la dimostrazione che gli accordi tra gli associati prevedono l’attribuzione all’associazione professionale – a mezzo, per esempio, di apposite clausole statutarie o di un successivo atto di cessione – della titolarità di tale diritto o, quanto meno, del potere di riscuoterlo (nel proprio interesse ma) in nome dell’associato che abbia eseguito l’incarico.

Al contrario, quando i professionisti si associano per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi dell’attività, senza trasferire all’associazione la titolarità dei rapporti di prestazione d’opera assunti, la legittimazione alla riscossione dei compensi fa capo esclusivamente ai singoli associati interessati.

  1. Associazioni professionali e privilegio ex art. 2751-bis c.c.

Quando la prestazione d’opera professionale sia stata resa da uno degli associati a ciò incaricato e il credito al compenso maturato, in base agli accordi tra gli associati o al contratto di conferimento dell’incarico, spetti all’associazione professionale, occorre stabilire se e a quali condizioni la pretesa creditoria sia assistita dal privilegio di cui all’art. 2751-bis c.c.

Chi si associa è nella condizione di fruire di benefici direttamente tratti dall’organizzazione, anche in punto di reddito, potendo l’organizzazione prevederne la remunerazione o per effetto della partecipazione in sé alla struttura collettiva, o deviando dalle regole ordinarie della corrispondenza fra retribuzione e prestazione; chi non si associa, al contrario, evidenzia una condizione ordinaria di collegamento biunivoco fra prestazione e remunerazione della stessa, cioè vive della sua professione e, come tale, chiede e ottiene ogni tutela prevista per il relativo credito (ivi compreso il riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis c.c.).

Affinché possano coesistere, da un lato, l’organizzazione e, dall’altro lato, la particolare tutela del credito prevista per il singolo, è necessario che la prestazione sia chiaramente individuabile in capo allo specifico professionista dal momento dell’incarico sino a quello dell’esecuzione personale della prestazione e poi alla sua remunerazione.

Secondo la giurisprudenza, la proposizione della domanda d’insinuazione al passivo da parte di uno studio associato fa presumere, in ragione della fungibilità delle prestazioni rese dagli associati, che l’opera professionale da cui quel credito è derivato non sia stata personalmente svolta (almeno in termini di esclusività o di prevalenza) da un singolo professionista e che, dunque, non sussistono i presupposti per il riconoscimento del privilegio in questione, salvo che l’associazione dimostri, da un lato, che il credito ha avuto origine dalla prestazione d’opera personalmente svolta, in via esclusiva o prevalente, da uno (o più) dei professionisti associati espressamente o inequivocabilmente incaricato (dal cliente committente o dalla stessa associazione) e, dall’altro lato, che il credito al compenso conseguentemente maturato, pur se azionato in giudizio dall’associazione professionale in forza degli accordi in essere tra gli associati o per effetto di cessione, sia, in tutto o (almeno) in parte, di pertinenza del professionista che ha eseguito la prestazione.

  1. L’instaurazione del rapporto professionale

La caratteristica della personalità della prestazione del singolo professionista deve sussistere sin dal momento dell’instaurazione del rapporto professionale, mediante una cosiddetta regola d’ingaggio che ne riveli il sicuro tratto dell’intuitus personae.

Affinché anche l’associazione o la società professionale possa invocare il privilegio di cui all’art. 2751-bis c.c., dunque, è necessario che la designazione del professionista sia stata compiuta dal cliente.

Non è, di per sé, ostativa al riconoscimento del privilegio la circostanza che il rapporto si sia instaurato formalmente con l’associazione o con la società professionale (per esempio, con il conferimento del mandato scritto direttamente alla struttura collettiva), anziché con il singolo professionista in essa organicamente inserito quale prestatore d’opera qualificato: quel che rileva è il previo coinvolgimento e dunque l’individuazione del professionista designato dal cliente (così che le circostanze rivelino il sicuro tratto dell’intuitus personae), nel mentre l’associazione deve risultare scelta in quanto di essa fa parte il singolo professionista nei cui confronti il committente ripone la propria considerazione di personale affidamento

  1. La remunerazione della prestazione professionale

La personalità è tratto caratteristico che deve riguardare anche la remunerazione della prestazione.

Se il privilegio non può essere negato per il solo fatto che il credito al compenso sia stato eventualmente ceduto all’associazione professionale, poiché la cessione non incide sulla natura del credito e non lo fa degradare a chirografo ma, al contrario, legittima lo studio associato a fare valere il diritto al privilegio, resta, tuttavia, da verificare se il compenso così maturato (pur confluendo, in forza degli accordi tra gli associati, nel patrimonio dell’associazione, che provvede poi a distribuirlo, sotto forma di utili, tra i professionisti che ne fanno parte in ragione delle quote pattuite), costituisca (sia pure soltanto in parte) la retribuzione spettante all’associato che ha eseguito la prestazione d’opera professionale che ne costituisce il fondamento e se, dunque, entro i limiti quantitativi previsti dagli accordi ripartitori tra gli associati, sia, come tale, destinato a remunerare, sebbene a titolo di utili (e nei limiti della relativa percentuale), lo specifico lavoro personalmente svolto, in via esclusiva o prevalente, dallo stesso.

A questo proposito, Cass. civ., Sez. I, 13 novembre 2024, n. 29371, ha affermato che il credito al compenso maturato è di pertinenza del professionista che ha svolto la prestazione solo se (e nella misura in cui) le somme corrispondenti a tale compenso siano destinate – in forza degli accordi tra gli associati e dei criteri di distribuzione degli utili maturati pattuiti tra gli stessi – a retribuire (nei diversi modi di volta in volta previsti) proprio l’opera lavorativa svolta dal professionista associato.

L’associazione professionale, quindi, può invocare e fare valere la natura privilegiata del credito avente per oggetto il compenso professionale sia nel caso in cui il rapporto di prestazione d’opera professionale si sia instaurato direttamente tra cliente e singolo professionista (il quale, come titolare del credito al relativo compenso, l’abbia poi ceduto, anche in virtù di apposita clausola statutaria, all’associazione cui appartiene), sia nel caso in cui il predetto rapporto contrattuale sia giuridicamente sorto direttamente tra il cliente e l’associazione professionale (quale autonomo centro di imputazione di interessi e controparte contrattuale), a condizione, però, tanto nel primo, quanto nel secondo caso, che sia dimostrato che il credito al compenso sia il corrispettivo della prestazione personalmente svolta, in via esclusiva o prevalente, da uno (o più) tra i professionisti associati (anche avvalendosi, sotto la sua responsabilità, di collaboratori o sostituti, ai sensi dell’art. 2232 c.c.) e che le somme così maturate siano destinate, in forza degli accordi distributivi tra gli associati, a retribuire, anche solo in parte, proprio il professionista che ha personalmente eseguito la relativa prestazione lavorativa e proprio la prestazione lavorativa che è a fondamento del compenso invocato.

Solo in questo modo si può ritenere che il credito abbia per oggetto prevalente la remunerazione di un’attività lavorativa e sia, dunque, di pertinenza del professionista che l’ha eseguita.

Esclusivamente se ricorrono tali condizioni, infatti, il credito al compenso, pur se confluito nel patrimonio dell’associazione, conserva, ai fini previsti dall’art. 2745 c.c., la sua originaria causa e, come tale, merita la prelazione accordata dalla legge al fine di garantire i compensi professionali spettanti al singolo professionista o prestatore d’opera per la prestazione lavorativa che lo stesso ha svolto personalmente.

Quando, invece, l’associazione professionale non fornisca tale rigorosa dimostrazione, il credito professionale perde il suo collegamento causale con l’eventuale carattere personale originario della prestazione d’opera svolta da uno dei professionisti associati, confondendosi con la remunerazione della più ampia attività così organizzata e assumendo la configurazione (non più di compenso professionale ma) di remunerazione di capitale, che non è garantita dal privilegio in esame.

In definitiva, il riconoscimento del privilegio previsto dall’art. 2751-bis c.c. presuppone che gli accordi interni tra gli associati stabiliscano che il compenso percepito da un determinato cliente spetti, dedotti i costi comuni, solo a chi ha concretamente svolto la prestazione in suo favore in termini personali e identificabili o, quanto meno, contemplino meccanismi per assicurare che, nella rendicontazione periodica, gli utili siano distribuiti in misura proporzionale al lavoro svolto da ciascuno degli associati, con la conseguenza che, al contrario, se gli accordi interni prevedono una diversa distribuzione degli utili (per esempio, in misura fissa tra gli associati sulla base delle quote di partecipazione all’associazione stessa), non si può ritenere che i compensi vadano a retribuire il lavoro svolto da ciascuno, perché almeno in parte retribuiscono anche chi non ha svolto attività.

Soltanto alle indicate condizioni e nei descritti limiti quantitativi, dunque, può ritenersi che il credito al compenso maturato o azionato dall’associazione professionale sia effettivamente destinato a retribuire il lavoro personalmente eseguito da uno dei professionisti e possa, dunque, godere (proprio e solo in quanto tale) di un privilegio che, come quello previsto dall’art. 2751-bis c.c., è destinato a tutelare esclusivamente il lavoro svolto dal prestatore dell’opera e il corrispondente compenso, non anche – se non al prezzo di perdere, per la corrispondente quota, la sua causa originaria, che è e rimane quella di remunerare il prestatore di lavoro e soltanto lui – la rendita conseguente al mero status di associato e, dunque, all’investimento (di capitale e lavoro) eseguito da quest’ultimo nell’associazione.

  1. Conclusioni

Affinché il credito azionato dall’associazione professionale possa essere ritenuto di pertinenza del singolo professionista e, come tale, assistito dal privilegio di cui all’art. 2751-bis c.c., occorre che venga dimostrato il previo coinvolgimento e l’individuazione del professionista da parte del committente, che venga fornita la prova che quel credito si riferisce a una prestazione svolta dal professionista, in via esclusiva o prevalente, che venga dimostrato che il compenso così maturato (pur confluendo, in forza degli accordi tra gli associati, nel patrimonio dell’associazione, che provvede, poi, a distribuirlo, sotto forma di utili, tra i professionisti che ne fanno parte in ragione delle quote ivi pattuite o comunque a retrocederlo, in misure variabili) costituisce (sia pure soltanto in una percentuale e nei limiti della stessa) la retribuzione spettante all’associato che ha eseguito la prestazione d’opera professionale da cui scaturisce e che, dunque, sebbene entro i limiti quantitativi previsti dagli accordi ripartitori tra i diversi associati, sia, come tale, destinato a remunerare, anche a titolo di utili (e nei limiti della relativa percentuale), lo specifico lavoro personalmente svolto, in via esclusiva o prevalente, dallo stesso.